Questo articolo è del Dott. Vincenzo Caporaso, co-autore del booklet “Gestione dei rischi psicosociali e benessere organizzativo – Luigi Casiraghi e Vincenzo Caporaso
Una delle maggiori difficoltà che si incontrano ogni volta che si tenta una definizione operativa dell’emozione è rappresentata dalla difficoltà a uscire dal soggettivismo degli stati di coscienza. Ogni individuo ‘sa’ cosa significa provare un’emozione, e può anche giungere a descriverla verbalmente, ma di fronte alla necessità di distinguere uno stato emozionale da uno stato di tipo cognitivo, si trova a dover far ricorso a termini autoesplicativi come ‘sento’ oppure ‘penso’, di scarsa utilità operativa. Da qui Il tentativo della psicologia introspettiva del secolo scorso di classificare e categorizzare diversi tipi di ‘sentimenti’, ‘emozioni’, ‘passioni’ e così via. Il rischio, intrinseco a questa posizione, di una progressiva chiusura in un soggettivismo più suscettibile di comunicazione letteraria e di analisi filosofica che di portare ad un progresso scientifico, ha portato progressivamente negli ultimi cinquant’anni a una posizione opposta. Si è giunti, cioè, a negare ogni significato ai vissuti soggettivi e a parlare esclusivamente di ‘comportamenti emozionali’, obiettivamente osservabili, descrivibili operativamente e, entro certi limiti, riproducibili in laboratorio.
Questa posizione comportamentista, di diretta derivazione dalla psicologia sperimentale e animale, considera la descrizione verbale dei contenuti di coscienza emozionali come un caso particolare di comportamento verbale, analizzabile dal punto di vista delle modalità comunicative ma non da quello dei vissuti soggettivi. Una prospettiva comportamentista portata alle sue estreme conseguenze tuttavia, si trova a dover affrontare la difficoltà pratica e concettuale di distinguere operativamente tra comportamenti emozionali e comportamenti non emozionali, senza far ricorso ai vissuti soggettivi dell’individuo. Di fronte a questo problema, da parte di alcuni si tende a rinunciare completamente a qualsiasi definizione dell’emozione, e a limitarsi alla descrizione di varie tipologie di comportamenti (ad esempio comportamenti appetitivi, avversivi, di evitamento, di attacco e fuga, ecc.) nei loro rapporti con varie categorie di stimoli scatenanti. In questa prospettiva ci trova nella situazione di avere particolari stati di sensibilità interna soggettiva, che ogni individuo riconosce intuitivamente come emozioni, ma di non poter usare tale costrutto in un contesto di comunicazione scientifica. Una possibile via di uscita da questa ‘impasse’ metodologica è venuta dagli studi di psicofisiologia e di psicoendocrinologia del comportamento che sono andati sviluppandosi negli ultimi anni.
Una massa rilevante di dati sperimentali ha infatti dimostrato, nell’animale, che taluni tipi di comportamenti sono costantemente accompagnati da particolari modificazioni fisiologiche a livello del sistema nervoso centrale (SNC), del sistema nervoso vegetativo (SNV) e del sistema endocrino (SE). Ci si trova dunque di fronte a un mutamento complesso delle condizioni omeostatiche di base dell’organismo, che coinvolge sia le cosiddette funzioni volontarie, mediate del sistema cerebrospinale e muscoloscheletrico, che le cosiddette funzioni autonome mediate dal SNV e dal SE.Un’analisi sistematica delle condizioni nelle quali si manifestano queste complesse e integrate modificazioni, mostra che esse compaiono caratteristicamente in circostanze che coinvolgono ola sopravvivenza dell’individuo o la sopravvivenza della specie. A livello di sopravvivenza dell’individuo la reazione fisiologico-comportamentale integrata si manifesta di fronte a stimoli minacciosi o pericolosi per l’incolumità fisica o per la vita. A livello di sopravvivenza della specie, essa si manifesta in varie fasi del ciclo riproduttivo quali la ricerca di un partner sessuale, l’accoppiamento e la protezione della prole. In una prospettiva filogenetica, si può osservare come la reazione fisiologico-comportamentale integrata divenga sempre più modulata e complessa con il progredire della scala animale, parallelamente alla comparsa e allo sviluppo di strutture anatomofunzionali specializzate a tale scopo.
Questo aumento di complessità appare correlato alle aumentate possibilità di sopravvivenza sia dell’individuo che della specie. La reazione fisiologico-comportamentale integrata è osservabile anche nell’uomo in situazioni che, come nell’animale, sono correlate a problemi di sopravvivenza e di adattamento. Nell’uomo, tuttavia, dato il rilevante sviluppo delle funzioni cognitive mediate dallo sviluppo corticale, essa può essere indotta anche da stimoli solo indirettamente o simbolicamente correlabili a una minaccia per l’individuo o alle funzioni riproduttive. L’aspetto tuttavia più interessante della reazione fisiologico-comportamentale integrata nell’uomo è dato dalla sua caratteristica associazione con quei particolari vissuti soggettivi conosciuti nel linguaggio corrente come emozioni. In questa prospettiva, i vissuti emozionali soggettivi vengono visti come correlati secondari o “sottoprodotti intrapsichici” di un complesso processo di attivazione somatica finalizzato in via diretta o mediata alla sopravvivenza.
In base a queste considerazioni, si può giungere a una definizione operativa dell’emozione, in cui essa viene intesa come una modificazione delle condizioni omeostatiche di base, finalizzata alla conservazione dell’individuo o della specie per mezzo di specifici comportamenti e di modificazioni somatiche che ne costituiscono il supporto fisiologico e metabolico. Nell’uomo essa si accompagna a particolari vissuti, a tonalità fondamentale piacevole o spiacevole, che possono essere comunicati verbalmente.