A Cura del Dott.Luigi Casiraghi
Le caratteristiche del lavoro che sono più facilmente associate con lo stato di stress sono:
• Il rumore eccessivo, che rende molto più difficile la concentrazione e la comunicazione con i colleghi.
• Il sovraccarico lavorativo. Un numero di ore lavorative superiore alle quaranta ore settimanali.
• La mancanza del tempo indispensabile per svolgere un compito. Dover quindi lavorare in fretta e in modo poco preciso.
• La scarsa varietà delle attività. Svolgere sempre le stesse mansioni.
• La monotonia delle attività svolte. Le attività vengono eseguite in modo meccanico e senza partecipazione.
• L’insufficienza o la mancanza di un riconoscimento o di una ricompensa per una buona prestazione.
• L’assenza di discrezionalità e di controllo. Quando non è possibile controllare in modo diretto i propri compiti e viene a mancare la possibilità di poterli svolgere nella maniera che si desidera.
• La presenza di eccessive responsabilità.
• L’ambiguità di ruolo. Mancanza di informazioni chiare a proposito delle condotte lavorative da adottare e imprevedibilità delle conseguenze delle proprie attività.
• Il conflitto con i colleghi o con i superiori. Mancanza di accordo con i colleghi di lavoro circa le procedure lavorative e interferenze di ruolo.
• L’insoddisfazione, la mancanza di realizzazione personale. Quando manca, per esempio, la certezza di un lavoro stabile o la possibilità di avanzamento professionale. Oppure non è possibile esprimere il proprio talento e le proprie capacità.
• L’essere oggetto di pregiudizi, minacce, vessazioni. Queste situazioni portano a ciò che è definito “mobbing”.
Il termine mobbing è stato coniato agli inizi degli anni ‘70 dall’etologo Lorenz (Lorenz 1970) per descrivere un comportamento tipico di alcune specie animali che circondano un proprio simile e lo assalgono rumorosamente in gruppo al fine di allontanarlo dal branco. Il mobbing sul posto di lavoro può essere di due tipi: il mobbing gerarchico e il mobbing ambientale; nel primo caso gli abusi sono perpetrati dai superiori della vittima, la quale è destinata a mansioni umilianti, nel secondo caso invece sono i colleghi della vittima a isolarla, a privarla apertamente dell’ordinaria collaborazione, dell’usuale dialogo e del rispetto. La pratica del mobbing consiste nel vessare il collega di lavoro o il dipendente con svariati metodi di coercizione psicologica e fisica. Ad esempio, sottraendo lavoro gratificante per affidarlo ai colleghi; oppure attraverso la dequalificazione delle mansioni stesse che sono ridotte a compiti banali quali fare caffè o fotocopie, o comunque a compiti molto operativi e con scarsa autonomia decisionale. Altra pratica diffusa è quella dei rimproveri e dei richiami, espressi in privato e in pubblico, per errori normalmente trascurabili.
Ancora, il mobbing si manifesta nel fornire volontariamente attrezzature di lavoro di scarsa qualità, computer e stampanti che si guastano, arredi scomodi, ambienti male illuminati; spesso si rende irreperibile anche l’assistenza tecnica. Se il dipendente resta in malattia, vengono inviate dai capi dell’azienda continue visite fiscali a casa del lavoratore. Quando la vittima ritorna sul posto di lavoro, spesso trova la scrivania sgombra o portata via e il computer scollegato dalla rete aziendale.
Un altro fenomeno che può colpire i lavoratori, in questo caso coloro che esercitano professioni di aiuto quali psicologi, psichiatri, assistenti sociali, infermieri ecc, è il burnout. Il burnout si configura come uno stato di malessere, di disagio, che consegue ad una situazione lavorativa percepita come stressante e che conduce gli operatori a diventare apatici, cinici con i propri “clienti”, indifferenti e distaccati dall’ambiente di lavoro. In casi estremi tale sindrome può comportare gravi danni psicopatologici (insonnia, problemi coniugali o familiari, incremento nell’uso di alcol o farmaci) e deteriora la qualità delle cure o del servizio prestato dagli operatori, provocando assenteismo e alto turnover.