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SPAGHETTI, POLLO, INSALATINA E…ROSE’

A cura di  Cavaliere Carlo Aguzzi Sommelier



La vecchia canzone di Fred Bongusto mi è sempre piaciuta. Quello che non mi ha mai “intrigato” è quell’insalatina che, nel testo della canzone, accompagnava il pollo. Confesso che sono sempre stato più carnivoro che erbivoro ed il pollo è sempre stato uno dei miei piatti preferiti. Un tempo l’economia della famiglia contadina era fondata sul cortile, sugli animali di bassa corte, ai quali sovrintendeva la “rigiura”, la padrona di casa. Ammazzare il pollo e, successivamente,  togliere ad una le penne era un lavoro per nulla facile. Poi, grazie all’industrializzazione, nei negozi e nei supermercati di città sono comparsi polli già pronti per essere cucinati: spennati, sezionati, disossati, addirittura arrotolati e conditi con erbe. Tutto molto più sbrigativo anche se il gusto ed il sapore di un tempo non si ritrovano più. Il pollo da “batteria” ha sconfitto il pollo “ruspante”. L’allevamento dei polli non è una invenzione recente. Nel mondo romano Livia, moglie di Ottaviano Augusto, allevava galline bianche, così come Romolo Augustolo allevava galline nane. Singolare il fatto che i legionari romani, oltre alle normali vettovaglie che si portavano appresso nei lunghi trasferimenti, si dotavano di un appuntito spiedo per infilzare i  … “polli erranti” ! Una volta dei polli si cucinava tutto. Nel suo Trinciante, Vincenzo Cervio, cuoco al servizio del Cardinale  Farnese ( siamo nel 1581), scrisse  un trattato sul modo di sezionare i polli da cucinare. “né al pollastro, né alla pollanca, né meo al cappone, non si levino le punte delle ale e che, essendo il pollastro con tutte le membra e volendolo tranciare – dandogli tutti gli tagli ordinari – sarà bisogno che tu li dia quindeci colpi..” . Quindici tagli appositamente studiati per sezionare un pollo. Oggi si dividono ali e cosce, poi il petto e la carcassa in due / quattro pezzi. Al massimo otto tagli. Testa, collo e zampe non arrivano più in tavola e vengono considerati come scarti. Le ricette di cucina sui polli si sprecano. Una delle più famose è sicuramente quella del “pollo alla Marengo”. La storia risale al tempo di Napoleone. Il generale francese voleva che i cuochi al seguito delle sue truppe cucinassero sempre pollo, con l’obbligo di variare, ogni volta, gli ingredienti ed il modo di cottura. Impresa ardua che a Marengo – dopo la battaglia – si accentuò a causa della scarsità dei viveri. Il cuoco dell’imperatore sguinzagliò i suoi aiutanti a rimediare – di corsa – qualsiasi cosa fosse commestibile e così nacque la leggendaria ricetta. Pollo novello, a pezzi rosolati a fuoco alto, olio e aglio pestato, unito ad un condimento con porro, scalogno, pomodori, funghi e vino e arricchito da una seconda salsa con cipolle, prosciutto, estratto di carne, con contorno di crostini di pane e uova fritte nel burro, spolverizzando il tutto con prezzemolo tritato.  Con questa ricetta io accosterei volentieri un fragrante rosato, ricavato da uve di pinot nero. La ricetta ci fa pensare ad un piatto dalla tendenza aromatica, un poco untuosa, con buona succulenza. Il vino in questione ha tutti i requisiti per il giusto abbinamento. Il profumo delicato, invitante, dalle fragranze di frutti di bosco e fiori freschi si addice alla tendenza aromatica del pollo, la giusta effervescenza e buona alcolicità sono necessari per smorzare la tendenza grassa ed untuosa del piatto. Naturalmente, per gli amanti delle bollicine, consiglio l’ormai famoso Cruasè, punta di diamante dell’enologia dell’oltrepò pavese.
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