ShareThis

Appunti sul trentino vinicolo

A cura di Cav. Carlo Aguzzi Sommelier



I vini della val d’Adige vennero fatti conoscere al mondo esterno durante il Concilio di Trento che preparò la Controriforma dal 1545 al 1563. Sulle tavole dei religiosi erano serviti marzemino e teroldego, vitigni autoctoni. Il primo venne immortalato da Mozart nel Don Giovanni. Il secondo – alla corte viennese – era conosciuto come tiroler gold (oro del Tirolo). Quest’uva è l’unica a crescere su terreno pianeggiante: il suo terroir d’elezione si trova nella piana rotaliana , tra Mezzacorona e Mezzolombardo. Ma il trentino è soprattutto produttore di spumanti di livello elevato. A San Michele all’Adige si trova dal 1874 la scuola di enologia, famosa nel mondo, le cui ricerche vengono messe in pratica direttamente sui vigneti e nelle cantine della valle. Per suo merito, da oltre venti anni, le grandi case commerciali hanno puntato solo su una produzione di qualità.  In Alto Adige o Sud Tirolo i vigneti migliori sono localizzati tra Ora e Bolzano: l’uva più diffusa è la schiava rossa o Vernarsch. L’origine del suo nome è incerta: due le  tesi principali, entrambe sostenute da elementi reali. La prima deriva dal sistema di cultura utilizzato nel medioevo per una serie di varietà, anche differenti tra loro, coltivate a “ceppo basso” e che necessitavano di un sostegno, o un palo o un albero, generalmente di gelso. Queste uve nel XIII secolo erano chiamate “scalve” per il loro dover essere appoggiate necessariamente ad un sostegno. La seconda versione è legata alla probabile provenienza del vitigno dai confinanti paesi slavi. “Sclava” da cui poi “schiava” sarebbe stata una deformazione dialettale di “sclava”. Sembrerebbe infatti che tali uve siano arrivate  in Italia al seguito dei popoli barbari (Unni o Longobardi). Infatti nel tardo medioevo queste uve erano chiamate Heunisch o Hunnisch a testimonianza quasi della loro origine unna. Le molte varianti di questo vitigno sono sottolineate dalle diverse denominazioni assunte in Sudtirolo (sciava, sinarola, schiavona..) e coltivate in passato con ancora più varianti. Fino alla fine del 1800 esistevano varianti a bacca bianca. Attualmente due sono i rami principali, entrambi a bacca rossa: da un lato quello lombardo e veneto (cioè la schiava nera ed i suoi derivati), dall’altro quello altoatesino e trentino con schiava gentile, schiava grigia , schiava grossa e la Tshaggele. Ricordo di aver assaggiato , dalle parti di Bolzano, un ottimo vino a base di uve schiava: l’Alto Adige Santa Maddalena Classico dell’Azienda Obermoser. Uva schiava  nobile per il 60% e uva schiava grigia, piccola e gentile per la rimanenza, tranne una piccolissima percentuale di Lagrain. Vino rosso dal colore rubino, con eleganti profumi di lamponi e violetta, piacevole, rotondo al palato, equilibrato, con gradevole retrogusto di ciliegia. L’accostamento gastronomico meritava un plauso: piatto di knodel allo speck e filetto di maiale in crosta alla senape. Menù sicuramente da ripetere per il piacere della nostra gola…
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...