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La caponata palermitana

A cura di Cav. Carlo Aguzzi Sommelier



Colorata, carica di ingredienti e si sapori, talvolta esagerata e barocca ma mai banale, la cucina palermitana è un perfetta fusione di abitudini gastronomiche di varie civiltà. Dai Siculi ha adottato l’olivo ed i cereali, come frumento e farro, dai Greci la coltivazione della vite, insieme ai capperi e all’aglio, dagli Arabi la cultura del riso e degli agrumi (senza contare il gelato e la granita), dai Normanni l’uso del baccalà o piscistoccu, dagli Aragonesi la frittura con l’impanatura e dai Borboni tutta la cucina pomposa e ridondante come timballi e preparazioni in gelatina.
Scorrendo il menu di un ristorante palermitano si ha sensazione si sfogliare un manuale di storia. Il vero capolavoro della cucina palermitana è sicuramente la “caponata”, costituita da tocchetti di melanzane fritte e condite con salsa agrodolce, in compagnia di profumati capperi e olive verdi. Non si sa quando nacque la caponata. E’ accertato che il consumo delle melanzane fu introdotto in Sicilia dai musulmani. Se parla – per la prima volta – solamente nel 1759 in un libro stampato a Messina e definito come “piatto fatto di varie cose”. Una versione del 1853 prevede tra gli ingredienti anche il pesce. Come mai il pesce? Perché questa salsa agrodolce veniva acquista dai marinai nelle taverne e serviva a condire l’insipida galletta di bordo. I naviganti chiamarono quel biscotto arricchito di verdure cotte e di pesce a basso mercato con il nome di “cappone di galera”.
Altri sostengono che il nome derivi dalla cucina dei “monsù”. Monsù erano cuochi al servizio dei nobili e baroni ed il loro nomignolo deriva dalla contrazione di “Monsieur Le Chef”. Questi cuochi si sbizzarrivano a cucinare per i loro padroni agnelli, capretti, fagiani, lepri, capponi, utilizzando la salsa agrodolce per una conservazione più duratura delle carni. Da qui “capponata”, ridotta a “caponata” dal ceto più povero che, al posto del cappone, impiegò le melanzane fritte.
Quanti tipi di caponata si fanno ai nostri giorni? Sicuramente un numero infinito perché l’interpretazione è ancora legata alla fantasia e alla creatività di ogni cuoco. Certamente la caponata più antica prevede gallette da marinaio, capperi sotto sale, olive verdi snocciolate, acciughe salate, filetti di tonno, olio d’oliva, aceto di vino bianco, un po’ di miele e sale.
L’abbinamento del vino con la caponata è abbastanza difficile perché questo, più che un piatto, è un contorno, una salsa. Comunque, considerando che le melanzane sono l’ingrediente principale, si potrebbe abbinare un vino bianco di buona struttura come l’Alcamo oppure uno chardonnay siciliano con note di frutta esotica (banana, ananas) che si fondono con piacevoli sentori di cedro, spezie, vaniglia e burro d’arachidi. 
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